mercoledì 18 dicembre 2013

Una promessa per Anna

Anna scese le scale a passo leggero, avvolta dal caldo tepore della vestaglia che confortava il suo spirito quando fuori tutto ammutoliva sotto il gelo dell’inverno. Arrivò in cucina e accese la luce.
Un calore familiare illuminò la notte, svegliando però il povero gatto Leo appollaiato come un canarino sul bracciolo della poltrona. Anna mise su l’acqua per il tè, muovendo con grazia innaturale le dita affusolate e organizzate in un morbido balletto.
Fuori dalla finestra il mondo dormiva, la neve cadeva abbondante quella sera di febbraio e nulla pareva impaziente di tornare a nuova vita.
Anna sfilò dalla tasca della vestaglia la piccola chiave argentata. Un giro soltanto e il piccolo cassetto si aprì, sputando fuori con poca eleganza cartacce e documenti bancari accumulati negli anni.
Lei infilò la mano verso il fondo, sapendo bene che sensazione avrebbero provato i suoi polpastrelli una volta raggiunto lo scopo.

martedì 19 novembre 2013

Fields of gold

“Hai dei bellissimi orecchini oggi”.
La piccola Matilde guardava rapita quell’oscillare di argento e pietruzze costate poco più di cinque dollari al mercato vintage del sabato mattina. Aveva gli occhi grandi, enormi, due specchi capaci di riprodurre crudelmente ogni riflesso di quella realtà dai toni pastello.
“Grazie Matilde, anche i tuoi sono molto graziosi”.
L’infermiera Harrison sorrise benevolmente a quell’ammasso di innocenza che le sedeva davanti.
“Come stai oggi? Com’è andato il tuo fine settimana?”.
Trascinò verso di lei la sedia girevole nascosta nell’angolo per prendere posto di fianco alla bambina.
“Sto una favola. Mamma mi ha lasciato guardare un sacco di televisione perché fuori pioveva.
E pure la nonna è venuta a trovarmi. È stato un bel week end”.
Matilde voltò lo sguardo alle piccole gocce che scendevano contro voglia dentro il tubicino trasparente.

mercoledì 30 ottobre 2013

Bobby il sopportatore.

Il Sig. Forrester era un Sopportatore.
Attenzione, non parliamo di una persona dal carattere pacato e nobile pronto a sopportare il male del mondo senza battere ciglio, parliamo di un Sopportatore professionista.
Lui era un Sopportatore per lavoro.
Aveva cominciato l’attività sin da ragazzino, quando la nonna se lo trascinava dietro durante i fine settimana, responsabile per lui nell’assenza dei genitori, troppo impegnati ad essere superficiali ed egoisti per concepire di portarsi il figlio alla casa al mare, piena di alcolici pregiati e serate dal sapore snob.
La nonna era dolce, buona, lo stringeva quando l’uomo nera si materializzava sotto il letto e la febbre saliva. La nonna era una grande nonna, oh certo…ma aveva sempre un sacco di “commissioni” da sbrigare. Neanche a dirlo, le commissioni delle nonne sono sempre una grande seccatura. C’è da ritirare la pensione dopo ore di interminabili code, c’è da interrogare l’ortofrutta sulla qualità delle cipolle magari non badando al temporale (non c’era verso di convincerla ad avvicinarsi ad un supermercato, non era “di qualità”…vero nonna, ma almeno è al chiuso), c’è da prendere il the al circolo, una stanza dall’arredamento antiquato che odora di naftalina. Bobby Forrester  era sempre lì, accanto alla nonna, a sopportare per amore, senza aprire bocca, nemmeno quando un gruppo di profumate settantenni si avvicinava avido alle sue guance. Lui sopportava. Perché lo faceva sentire un bambino giudizioso e disponibile, pronto a sacrificare il suo tempo per qualcosa che avrebbe reso contenta la nonna.
Così era nata la sua carriera.

martedì 10 settembre 2013

Il pianoforte del pirata

Dead Dog Bay si racchiudeva stretta tra due colline dal manto bruno, ricoperte da alberi che avevano vissuto guerre e tempeste, sempre assistendo silenziosi e pazienti come anziani consiglieri che ormai non debbono neanche più aprire bocca per esprimere giudizi.
La baia era gremita di sassi e scogli appuntiti, il tutto ricoperto da conchiglie e alghe che il mare dimenticava ad ogni risacca. La sabbia era ruvida, rossa, accesa come il sole del tramonto, pareva quasi sentirla ardere sotto le suole nel pieno dell’estate.
La baia era piccola ma vivacemente frequentata, tutti i marinai delle vicinanze erano costretti ad attraccare lì per raggiungere l’entroterra, le altre insenature erano troppo increspate e decisamente pericolose per tentare un coraggioso approdo.
Dalla baia partiva un agile sentiero costruito in travi di legno che portava alla strada principale, dominata da alti alberi dalle fronde oscure.
Alla baia era sempre possibile trovare tre cose: Il vento dal gelido nord, il vecchio peschereccio abbandonato e il pianoforte del pirata.

domenica 1 settembre 2013

Aurora

Aurora aveva cinque anni, tanti boccoli castani e guance piene e morbide come le ciambelle zuccherate del fornaio. Era la tipica bambina che nessuno vedrebbe mai come una futura Miss o leggenda vivente tra i banchi di scuola. C’è poco da dire, Aurora non era “cicciottella” come le diceva la nonna, non era “robusta” come giustificava l’evidenza sua madre e non era neanche “in forma” come mentiva suo padre. Aurora era grassa.
Le altre bambine della sua classe sorridevano alle maestre mettendo in mostra l’adorabile finestrella degli incisivi appena caduti, suscitando sempre gridolini di entusiasmo e sospiri commossi da parte degli adulti, Aurora invece quando sorrideva pareva quasi le sparissero gli occhi tanto si stringevano alla pressione delle forti guance sollevate dall’espressione.
Aurora era grassa e lo sapeva bene. Accipicchia come lo sapeva bene.

lunedì 12 agosto 2013

Il matrimonio di Isabella

Isabella si legò i capelli nella solita coda di cavallo lasciata morbida sulle spalle stringendo forte l’elastico per impedirne lo scioglimento. Si alzò le maniche della maglia e si strofinò via dai pantaloni la polvere in eccesso accumulata dopo ore passate a pulire ogni singola panca.
Aveva finito tutta la navata sinistra, ora mancava solo la destra.
Tutto era quasi pronto per il grande giorno.
La chiesa profumava come un parco a primavera, le colonne erano addobbate a festa che manco un albero di Natale, cestini in vimini strabordanti di confetti alla mandorla aspettavano silenziosi e paffuti vicino all’ingresso, pronti a lasciare uno zuccheroso omaggio agli ospiti del matrimonio.
Che grande matrimonio sarebbe stato quello…Oh si, uno di quelli speciali, con tanto di violini e candele.

venerdì 28 giugno 2013

La mattina e il cuoco.

Un sabato mattina.
Il sole splendeva timido dietro i rami degli alberi e la campagna si stiracchiava assonnata alle prime luci del giorno. Tutto era avvolto da una pacata atmosfera primaverile, l’aria profumata e frizzante toccava allegra ogni cosa, come un bambino dall’aria furba che scova i compagni a nascondino.
Lui era il primo ad arrivare.
Come sempre.
Parcheggiava la vecchia automobile, apriva la porta e spalancava le finestre.
 Il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene.
Funzionava così quando eri il proprietario del più importante ristorante della città.

martedì 18 giugno 2013

Le pagine e Sara.

Quello che più le dispiaceva nel salutare l’autunno era l’arrivo precipitoso della notte subito dopo le cinque di pomeriggio. Il sole timbrava il cartellino in fretta e furia, neanche il tempo di scaldare con gli ultimi raggi strade e passanti che subito l’ombra scendeva come un pesante scialle di lana pungente. Il quartiere andava riempiendosi dei lavoratori che pigramente rientravano dopo una giornata passata a battere sui tasti impersonali di una tastiera, dentro un ufficio addobbato con foto di famigliari che non vengono abbracciati spesso quanto dovrebbero.
Lei aveva staccato dal lavoro più tardi del solito, maledicendo gli ultimi clienti difficili della libreria, sempre pronti a chiedere consiglio su pubblicazioni vecchie di millenni o libri non ancora mandati in tipografia.

mercoledì 27 marzo 2013

La danza di Vento e Neve


“Nonna chiudi la finestra. La bufera mi fa paura”.
Tim si stringeva nella coperta e osservava l’ardente scoppiettare del fuoco, ma nulla riusciva a distoglierlo dalla sensazione di gelo che gli attanagliava le ossa.
Il vento soffiava senza sosta, facendo tremare i vetri e assopire i restanti suoni della notte. La neve invece vorticava lesta e misteriosa in quel turbine d’inverno, costruendo eleganti balletti alla luce della luna.
“Perché dovrebbe fare paura mio caro?” chiese a Tim la nonna, socchiudendo leggermente gli occhi come quando sentiva per la prima volta qualche parola straniera.
“Perché è cattiva” rispose prontamente il bambino, raggomitolato sempre più in un fittizio rifugio di lana.
“Cattiva? Assolutamente no. Tu non devi avere paura della bufera…sono Vento e Neve che danzano insieme per essersi ritrovati”. 
Gli sorrise e volse lo sguardo al paesaggio della valle, dipinto con gesti veloci e infinitamente candidi.
“Sai… Quand'ero piccola, avevo circa la tua età, anche io avevo paura della bufera. Quando arrivava ululava così forte che non riuscivi neanche più a sentire i tuoi pensieri, ti faceva temere il buio e sembrava portare via ogni fiamma dal camino…” si voltò di nuovo verso Tim, lo guardò dolcemente e senza aspettare un gemito proseguì…
“Mio padre quando arrivava la tempesta si sedeva ai piedi del letto e mi raccontava una storia…sulla danza del Vento e della Neve… La vuoi sentire Tim?”

martedì 19 marzo 2013

L'Ufficio Dei Non (U.D.N)


L’Ufficio Dei Non (U.D.N) si trovava tra l’ospedale e la vecchia ferrovia, subito dopo l’incrocio che portava al centro commerciale. Era una palazzina elegante, tinteggiata di fresco di un pacifico color crema. L’entrata era segnalata da un grande cartello e da pesanti colonne che arricchivano il monumentale ingresso. Qualche albero qua e là che ricordasse gli antichi boschi ormai caduti e una fontanella triste che sbuffava ogni tanto gocce e riflessi argentei. L’Ufficio Dei Non era stato aperto ormai tanti anni fa, quando la fretta, l’assenza di coraggio e la superficialità avevano preso possesso nel cuore degli uomini, mutando quelli che erano stati un tempo gloriosi  “sì” in tanti noiosi “forse un giorno”, “magari non adesso” e “facciamo un'altra volta”. Tutti questi “forse” mutavano inevitabilmente spesso e volentieri in diversi “non”. 
Quando allora qualcosa diventava ufficialmente un “non”, era necessario recarsi presso il già citato ufficio a registrarsi, mica si poteva fare confusione. Era la regola. E le regole si devono seguire.
“Numero quaranta avanti. Buongiorno come posso esserle utile?”. 
L’impiegata alla reception era Matrimonio Non Felice. Indossava ancora il velo con tanto di coroncina ma i fiori del bouquet giacevano appassiti ormai da anni.
“Si buongiorno, salve, sono un Bacio Non Dato. Dove devo recarmi?".

venerdì 15 marzo 2013

La lettera smarrita


Era mattina presto. Gli alberi si stiracchiavano i lunghi rami al sole, gli uccellini mattinieri iniziavano a cinguettare un generale buongiorno e il vento lieve passeggiava ancora assonnato per le strade del piccolo paese immerso nella campagna. 
Le uniche persone in giro a quell'ora erano la vecchia fornaia, che stanca e infarinata dalla testa ai piedi se ne tornava a casa, lo scapolo d’oro, che abbronzato e di giallo vestito smuoveva a passi di jogging l’intero isolato e Marcel il postino. 
Marcel il postino era probabilmente più vecchio del paese stesso, ma continuava a svolgere egregiamente il suo quotidiano compito di messaggero, per cui nessuno era intenzionato a rimuoverlo dall'incarico. Si ostinava a consegnare la posta in bicicletta, come si faceva una volta, addobbando con pesanti borse di cuoio la parte posteriore del suo veicolo a due ruote. Le lettere, gli avvisi del Comune, le fastidiose pubblicità di arnesi da cucina, le seccanti multe da pagare, tutto rimaneva intrappolato tra quelle pareti di consumata pelle marrone, serrate strette da fibrose stringhe che non avrebbero permesso a nessuna parola di fuoriuscire dalla borsa di Marcel. Quella mattina però, qualcosa andò diversamente.

martedì 12 marzo 2013

Il Grande Circo Spettacolare


Jimmy si pulì il naso con la manica del pigiama, regalando alla stoffa un appiccicoso riflesso verdastro che avrebbe fatto sbuffare sua madre. Aveva la febbre, non così alta da dover stare inchiodato al letto tutto il pomeriggio ma nemmeno tanto bassa da poter uscire di casa. Solitamente a Jimmy non dispiaceva affatto avere la febbre, anzi, la cosa gli portava in tasca un sacco di benefici e dolciumi, per non parlare delle innumerevoli attenzioni da parte di nonni e genitori.
Solitamente.
Non quel giorno, quando in città arrivava lo Spettacolare Circo di Mr. Francois.
Jimmy si era impegnato tutto il mese per potersi guadagnare il biglietto e la possibilità di assistere allo spettacolo. Aveva studiato tutti i giorni, aiutato mamma a lavare i piatti, tagliato il prato insieme a papà ed evitato di bisticciare con sua sorella Maggie. Un mese durissimo, faticosissimo, dove ogni sforzo e goccia di sudore aveva significato la possibilità di rimanere a bocca aperta davanti a Mr. Francois ed al suo incredibile mondo circense.
Un mese di sforzi inutili, considerando che erano bastate poche gocce di pioggia all’uscita di scuola per prendersi una bella influenza.
“Sei triste?” Maggie si avvicinò al fratello non varcando però l’immaginaria soglia del contagio.
 “Si. Oggi c’è Mr. Francois in città… e io me ne devo stare chiuso in casa a guardare la pioggia che cade e quella stupida televisione…” l’orgoglio fece rimanere salde alle ciglia le lacrime.
“Se vuoi possiamo giocare a qualcosa?” Maggie propose.

Annalisa si è ammalata.



Annalisa non riusciva a dormire.
La finestra era aperta ed entrava nella stanza una lieve brezza che pareva assopire ogni rumore della strada e della notte. Lei si girava e rigirava nel letto, cercando di convincersi a dormire, consapevole del fatto che mamma sarebbe entrata per svegliarla dopo soltanto poche ore. Le bambole la guardavano spente dalla mensola bianca della scrivania, i vestiti sgualciti sulla sedia pendevano inermi come uniformi che avevano perso la guerra, il gattino bianco Cesare dormiva beatamente ai piedi del letto ignorando completamente l’insonnia della padroncina.
Annalisa non dormiva e respirava. Respirava e si domandava cosa stesse succedendo. Non le era mai capitato di sentirsi così. Aveva sonno ma non riusciva a dormire, non aveva fame ma le faceva male la pancia, non aveva corso ma le batteva il cuore forte forte, non aveva la febbre ma si sentiva avvampare come fosse avvolta da mille coperte.
“Ecco” pensò la bambina, “Sono malata”.