venerdì 12 dicembre 2014

Hansel che pescava i tramonti

"Mamma io esco"
"E dove vai tesoro?"
"Vado a pescare"
"Non fare tardi. Stasera c'è l'arrosto con il purè"

Sua madre stava lavando i piatti in cucina. Era pomeriggio, il sole picchiava sulle teste e sull'erba, facendo risplendere il mondo di un bel giallo dorato.
Hansel preparò la sacca con tutto l'occorrente. C'erano gli ami, c'erano le esche, c'era la canna aggiustata con il nastro adesivo, c'era la borraccia ma soprattutto, tanta buona volontà.

25 volte inconcludente

Camminavano fianco a fianco lungo la via principale, affollata da volti senza nome e cellulari eccessivamente costosi. Tenevano una buona andatura, erano abituate a correre, a suddividere le ore in minuti e a non dimenticare mai l'agenda. Chiacchieravano del più e del meno, senza soffermarsi su argomenti troppo pesanti per quel tranquillo pomeriggio d'autunno che odorava di polvere e caffè.
"Lo so, non mi servono...però...guarda quelle scarpe..."
"Quali?"
"Quelle Blu con il tacco, dietro gli stivaletti neri di pelle. Sarebbero perfette con il nuovo vestito"
"Ma tu le scarpe con il tacco non le porti. Nei hai venticinque paia almeno nell'armadio."

I conigli di Amelia

Si infilò le ciabatte con cautela, come se ad aspettare le sue dita ci fossero braci e non cuciture. Stringevano, avrebbe dovuto comprarne di nuove. La vestaglia rosso imperatore, lesta arrivò a cingergli le spalle, rassicurandola che in quella mattina fredda non sarebbe mancato un abbraccio a confortarla. Aprì la porta della stanza e si diresse verso le scale. Non era ancora l'alba, la notte la faceva da padrona e tutto era ricoperto da ghiaccio e silenzio. Non le era mai piaciuto tanto dormire, "Ci si riposa una volta morti!" era solita a rammentare a chi tentava di frenare quel suo fare perennemente energico.
Appoggiò la mano al muro, scivolando con le dita tra i granelli che la vecchia pittura scrostata aveva lasciato. I muri della casa dov'era cresciuta erano diversi, ancora ricordava le traballanti assi di legno impregnate di umidità e vecchie storie.

Il cieco e la puttana

La vista mi abbandonò che ero ancora un ragazzo. Colpa di una pallonata diretta e crudele che spezzò immagini e speranze. Da allora il mio mondo è stato fatto da ombre sospette e luci fioche, nulla che avesse un contorno oppure un nome. Ho imparato a convivere con gli angoli appuntiti e i marciapiedi dissestati, ma mai con la mancanza del sole e delle stelle. La città in cui vivo è un enorme alveare, dove calma e quiete non sono proprie neppure delle preghiere domenicali. C’è il rumore del traffico a guidare i miei passi incerti e le voci dei passanti a darmi la misura delle distanze, tutto il resto sono vite assordanti passate al frullatore.Abito ancora nella casa dove sono nato, vicino al teatro con le porte rosse – almeno, così erano un tempo – e i giardini pubblici, dove le grida dei bambini si attenuano solo quando scende la notte.La mia casa è grande, lo era già abbastanza per tutta la famiglia, figuriamoci ora che sono rimasto solo.