martedì 10 settembre 2013

Il pianoforte del pirata

Dead Dog Bay si racchiudeva stretta tra due colline dal manto bruno, ricoperte da alberi che avevano vissuto guerre e tempeste, sempre assistendo silenziosi e pazienti come anziani consiglieri che ormai non debbono neanche più aprire bocca per esprimere giudizi.
La baia era gremita di sassi e scogli appuntiti, il tutto ricoperto da conchiglie e alghe che il mare dimenticava ad ogni risacca. La sabbia era ruvida, rossa, accesa come il sole del tramonto, pareva quasi sentirla ardere sotto le suole nel pieno dell’estate.
La baia era piccola ma vivacemente frequentata, tutti i marinai delle vicinanze erano costretti ad attraccare lì per raggiungere l’entroterra, le altre insenature erano troppo increspate e decisamente pericolose per tentare un coraggioso approdo.
Dalla baia partiva un agile sentiero costruito in travi di legno che portava alla strada principale, dominata da alti alberi dalle fronde oscure.
Alla baia era sempre possibile trovare tre cose: Il vento dal gelido nord, il vecchio peschereccio abbandonato e il pianoforte del pirata.

domenica 1 settembre 2013

Aurora

Aurora aveva cinque anni, tanti boccoli castani e guance piene e morbide come le ciambelle zuccherate del fornaio. Era la tipica bambina che nessuno vedrebbe mai come una futura Miss o leggenda vivente tra i banchi di scuola. C’è poco da dire, Aurora non era “cicciottella” come le diceva la nonna, non era “robusta” come giustificava l’evidenza sua madre e non era neanche “in forma” come mentiva suo padre. Aurora era grassa.
Le altre bambine della sua classe sorridevano alle maestre mettendo in mostra l’adorabile finestrella degli incisivi appena caduti, suscitando sempre gridolini di entusiasmo e sospiri commossi da parte degli adulti, Aurora invece quando sorrideva pareva quasi le sparissero gli occhi tanto si stringevano alla pressione delle forti guance sollevate dall’espressione.
Aurora era grassa e lo sapeva bene. Accipicchia come lo sapeva bene.