Aurora aveva cinque anni, tanti
boccoli castani e guance piene e morbide come le ciambelle zuccherate del
fornaio. Era la tipica bambina che nessuno vedrebbe mai come una futura Miss o
leggenda vivente tra i banchi di scuola. C’è poco da dire, Aurora non era
“cicciottella” come le diceva la nonna, non era “robusta” come giustificava
l’evidenza sua madre e non era neanche “in forma” come mentiva suo padre.
Aurora era grassa.
Le altre bambine della sua classe
sorridevano alle maestre mettendo in mostra l’adorabile finestrella degli
incisivi appena caduti, suscitando sempre gridolini di entusiasmo e sospiri
commossi da parte degli adulti, Aurora invece quando sorrideva pareva quasi le
sparissero gli occhi tanto si stringevano alla pressione delle forti guance
sollevate dall’espressione.
Aurora era grassa e lo sapeva
bene. Accipicchia come lo sapeva bene.
Il momento peggiore della
settimana era la lezione di danza del lunedì pomeriggio. A lei piaceva ballare,
ma quando nessuno la vedeva, quando nessuno sottolineava la pesantezza dei suoi
passi e soprattutto quando nessuno la obbligava ad indossare quello stupido
body.
Il body ufficiale della scuola
era rosa e stretto da morire, così stretto che le prime volte Aurora temeva che
avrebbe dovuto trattenere il fiato per l’intera ora successiva. Le stava piccolo,
le si infilava sempre in mezzo alla riga del sedere e le faceva prudere la
schiena. Lei odiava quel body.
La fasciava così tanto che ogni
rotolino di ciccia del suo corpo era invitato a mettersi in bella mostra
davanti al mondo intero, ricordando senza troppi sforzi un porcellino che
tentava di muoversi con più o meno grazia.
Aurora infilava le calze bianche,
il body rosa e il copri-spalle grigio chiaro che con un enorme sforzo andava
chiudendosi con un ridicolo fiocchetto su due precoci accenni di seno.
La bambina si infilava poi le
scarpette, e con il passo incerto e goffo che hanno i pinguini si sistemava in
fila tra le altre bambine, pronta ad incominciare la lezione.
La maestra entrava, accarezzava
dolcemente tutte le ballerine e le faceva disporre in cerchio per iniziare il
riscaldamento. Che tortura tutti quegli esercizi! Che fatica! Aurora allungava
le mani paffute verso i piedi ma le faceva male tutto dopo soli pochi secondi…
e intanto a fianco a lei la piccola Laura intrecciava ogni fibra del suo corpo
dando la riprova che teoricamente, i bambini sono abili contorsionisti.
Il riscaldamento finiva, la
maestra allungava il suo elegante collo come a voler raggiungere la luna e
cominciava a ripassare le posizioni imparate durante la settimana precedente.
“Ci mettiamo bene in prima bimbe?” la
maestra flebilmente incitava. Prima?! E chi si ricorda com’è la prima? O la
seconda, o la terza o la millesima?! Aurora osservava di sbieco l’atteggiarsi
fiero delle sue compagne di corso, meravigliose piccole statuine dallo sguardo
sicuro e dal portamento elegante.
Ad Aurora sembravano farfalle.
Così leggere nello spostarsi, sorridenti come un raggio di sole, belle come le
bambole che lei pettinava con cura e riponeva sul comodino ogni sera.
Anche lei voleva essere una
farfalla… invece si sentiva soltanto un elefante che si aggirava stanco in
mezzo ad esse.
I suoi passi rimbombavano in
tutta la stanza, le sue ginocchia cadevano rigide e il suo corpo non ubbidiva
al suo desideri di apparire come le altre. Lei ci provava, ma non ci riusciva.
Maledetto il giorno che sua madre, parlando con la pediatra, giunse a
conclusione che era tempo che Aurora iniziasse “una disciplina”.
Disciplina fu. Aurora subì la
prima umiliazione al negozio di articoli sportivi, quando la commessa disse a
sua madre senza troppo preoccuparsi della presenza della bambina che la taglia
4-5anni le sarebbe stata piccola e che sarebbe andata in magazzino a prendere
una 7anni. Per non parlare dell’acquisto dei collant. Aurora dovette infilarsi
come un salame dentro una guaina elasticizzata e crudele alla quale non si
sarebbe mai abituata che non solo le dava fastidio, ma contribuiva a formare un
salvagente di ciccia attorno ai suoi fianchi.
E lei si sentiva brutta.
Quando si guardava riflessa negli
enormi specchi della sala di danza Aurora si arrabbiava, perché non c’era solo
la consapevolezza a dirle che era diversa, oh no, c’era anche la sua immagine.
Lei chinava il capo di lato, la musica smetteva di esistere, i passi delle
altre tacevano, il mondo si fermava a guardare quel grande confetto rosa
vestito da ballerina. Aurora sgranava i grandi occhi verdi, con una mano
cercava un boccolo da torturare e la mano rimasta libera le prestava il pollice
da succhiare. Allora cominciava ad andare meglio. Perché il mondo era sparito,
nessuno le diceva più che “poteva farcela” e la sua pancia tonda pareva un po’
meno ingombrante. Aurora cercava solo di guardare i suoi occhi e non il resto,
ripensando che quando il suo Cicciobello piangeva a lei per calmarlo bastava
mettergli il pollice in bocca.
Ma il momento di pace durava
poco, bastava infatti che la maestra la cercasse con lo sguardo per accorgersi
che non stava danzando.
“Aurora… Aurora ma insomma!” e la
bambina si destava dal suo mondo senza giudizi, ripiombando in quella atroce
aula di danza che le ricordava senza sosta che lei le ali decisamente non le
aveva. E chissà se le avrebbe avute mai.
Secondo me c'è un po' di Aurora in ognuno di noi.. Mi piace un sacco questo pezzo! :)
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