Isabella si legò i capelli nella solita coda di cavallo lasciata
morbida sulle spalle stringendo forte l’elastico per impedirne lo scioglimento.
Si alzò le maniche della maglia e si strofinò via dai pantaloni la polvere in
eccesso accumulata dopo ore passate a pulire ogni singola panca.
Aveva finito tutta la navata sinistra, ora mancava solo la destra.
Tutto era quasi pronto per il grande giorno.
La chiesa profumava come un parco a primavera, le colonne erano
addobbate a festa che manco un albero di Natale, cestini in vimini strabordanti
di confetti alla mandorla aspettavano silenziosi e paffuti vicino all’ingresso,
pronti a lasciare uno zuccheroso omaggio agli ospiti del matrimonio.
Che grande matrimonio sarebbe stato quello…Oh si, uno di quelli
speciali, con tanto di violini e candele.
Isabella ne aveva visti a centinaia di matrimoni.
Ormai sapeva
riconoscere che tipo di coppia si accingeva al “lo voglio” solo guardando le
decorazioni della chiesa e i colori scelti per i vestiti della damigelle.
Isabella
da sempre lavorava come donna delle pulizie nella piccola chiesa della città e
così sua madre prima di lei. La perpetua era una vecchia acida e dalle ossa
troppo fragili per potersene occupare, così che il compito era da sempre
affidato all'esperte mani della famiglia della ragazza…anche quando le ossa inacidite
stavano ancora bene.
Isabella era cresciuta tra le spesse mura di quella chiesa, sua madre
le aveva insegnato come togliere macchie di cera sin dall’infanzia, trascurando
forse che sua figlia avrebbe preferito occuparsi di macchie ben più divertenti
su vestiti di bambole e pupazzi.
Da piccola aspettava che sua madre finisse di
lavorare seduta sulle grandi panche sistemate sul fondo, panche all’epoca
altissime per la sua altezza, montagne di legno odorose di cera per mobili.
Aveva visto tanti, tanti, tantissimi matrimoni.
Quelli eleganti.
Quelli classici.
Quelli noiosi.
Quelli bizzarri.
Ma
soprattutto, aveva visto quelli veri e quelli falsi.
Lei era la figura che si nascondeva agli occhi degli invitati vestiti
a festa, si faceva sempre piccola piccola dietro alla porta che dava sulla
canonica, attenta a non perdere neanche un momento della cerimonia.
Se ne stava lì, con i suoi pantaloni da lavoro e le mani asciutte per
colpa del detergente, serrando in un pugno timido lo straccio che era servito a
togliere al volo l’ultimo velo di fastidiosa polvere. Aspettava che tutti si
fossero seduti per cominciare un immaginario conto alla rovescia che le avrebbe
annunciato l’arrivo della sposa.
L’arrivo della sposa. La parte più bella.
Ogni volta si faceva capolino tra la confusione generale la solita
domanda…
”Come sarà il vestito della sposa?”. Il vestito, proprio così. Sarà bianco
avorio o bianco ghiaccio? Sarà ricamato con piccoli brillanti o soltanto di
pizzo francese? Avrà il velo?”.
Suona bizzarro pensare come la domanda
principale sia rivolta ad uno sfarzoso pezzo di stoffa piuttosto che al futuro
che attende la coppia. Isabella aspettava la sposa per dire ogni volta “Questo
è il vestito più bello che abbia mai visto. Questa è la sposa più bella che
abbia mai visto”. Ogni singolo matrimonio portava con sé la magia di una nuova
nascita, una nuova speranza per quei due tremolanti amanti davanti all’altare.
Si respirava nell’aria una miscela di promesse e speranze che a volte dava pure
alla testa.
Quanti matrimoni aveva visto, quanti passi aveva sentito attraversare
la navata, quante volte si era domandata quando sarebbe toccato a lei.
Si tolse i guanti, adagiandoli con un garbo non necessario vicino alla
cesta dei detergenti. Si tolse la fibrosa camicia blu scuro, si tolse gli
occhiali, si tolse l’elastico dai capelli.
Si tolse tutto ciò che la rendeva l’adorabile
ragazza delle pulizie.
Accarezzò con la mano destra il lucido mogano delle
panche, provando a immaginare quanti invitati ci sarebbero stati, che
appariscenti cappellini le signore avrebbero indossato, quanti bambini
indispettiti avrebbero tenuto il muso lungo per tutta la durata della
cerimonia. Continuò a camminare lungo la navata fino a raggiungere il fondo
della chiesa.
Si guardò intorno. Il sole filtrava attraverso le vetrate,
illuminando di colori appariscenti santi e parabole delle Sacre Scritture. Era
già tutto pronto per il matrimonio del tardo pomeriggio, ma nessuno gironzolava
ancora nei dintorni.
Strappò un giglio da una fastosa decorazione all’ingresso, sarebbe stato
un semplice bouquet per una ragazza che di complicato non aveva neanche il
codice fiscale.
Penzolava stanco da un vaso bianco un piccolo fiore che presto
finì tra la chioma bruna di Isabella, perdendosi tra i riccioli senza fare più
ritorno.
Socchiuse gli occhi per creare l’orchestra. C’era il pianoforte, i
violini, i fiati e ogni strumento che sarebbe stato bene nelle descrizioni ad
amici e parenti duranti gli anni futuri.
Il vestito…beh, l’immaginazione non può fare tutto.
Isabello cominciò a camminare lungo la navata, tentando goffamente di
riprodurre quella camminata che sembra tanto perfetta solo quando è nascosta da
chili di raso e sorrisini incerti. Contava i passi cercando di figurarsi anche
l’uomo che l’avrebbe attesa all’altare. Doveva essere bello…ma non troppo…lei
non era mai stata una reginetta di bellezza, sarebbe stato poco credibile un
marito da copertina.
“Aspetta aspetta signorina, se te la devi raccontare…almeno
fallo in grande!” ed ecco che il suo sorriso divenne il più bello mai visto, il
completo italiano ne faceva risaltare la perfetta figura e gli occhi brillavano
di quella luce che pare solo i film d’amore sappiano riprodurre agli occhi
delle sognatrici più accanite.
Era arrivata e guardava un vuoto colmo di immagini non vere. Strinse
il giglio nel pugno. Si tolse il fiore dai capelli. Si chiamò stupida per
continuare a giocare come se avesse ancora sei anni e dovesse aspettare la
mamma. Abbandonò il bouquet vicino alle sue spugne e ai suoi stracci, cercando
di cancellarsi dalla testa che da lì a poche ore la chiesa si sarebbe riempita
di un altro echeggiante avvenire che non portava il suo nome. “Ma porca miseria
a me e a questo lavoro…”, Isabella domò i riccioli impazziti un’altra volta in
una tenace coda, sbuffando su quelli che le coprivano gli occhi pensierosi.
Cominciò a sistemare tutto per andare via, quel giorno proprio non le
andava di spiare sposa e vestito. Tanto di matrimoni ce ne sarebbero sempre
stati.
Chiuse la borsa. A passo svelto s’incamminò verso la porta della
canonica.
Sarebbe sgusciata via come un invitato che aveva deciso di barattare
la cerimonia con la partita al bar.
“Signorina! Aspetta!”
Un bambino vestito di tutto punto si fece largo tra le panche della
navata dedicata allo sposo. Isabella si fermò stupita. Non tanto di trovare un
bambino solo in chiesa ma piuttosto dalla qualità e raffinatezza del piccolo
completo a tre pezzi che la creatura indossava.
“Dimmi”. Si chinò per raggiungere più agevolmente quello sguardo
vispo.
“Sono entrato perché fuori fa caldo e mamma dice che non devo
togliermi la giacca”.
La guardò cercando consensi.
“Oh si, fa caldo fuori”. Non faceva poi così caldo.
“Hai dimenticato questo”. Le allungò il giglio.
“Grazie”. Isabella riprese il fiore tra le mani, domandandosi se
davvero se lo fosse dimenticato a terra o volesse solo fare finta di nulla.
“Ti ho visto prima. Camminavi strana. Però sei bella.” Le sorrise
mostrando le buffe fossette.
“Grazie…ancora” rispose lei.
“Stai un po’ con me finché non comincia? Mi annoio” Chiese lui.
“ Certo…Mi piacciono proprio i matrimoni”.
Lui la fissò stranito.
"A me sembrano tutti uguali"
Nessun commento:
Posta un commento