venerdì 12 dicembre 2014

Il cieco e la puttana

La vista mi abbandonò che ero ancora un ragazzo. Colpa di una pallonata diretta e crudele che spezzò immagini e speranze. Da allora il mio mondo è stato fatto da ombre sospette e luci fioche, nulla che avesse un contorno oppure un nome. Ho imparato a convivere con gli angoli appuntiti e i marciapiedi dissestati, ma mai con la mancanza del sole e delle stelle. La città in cui vivo è un enorme alveare, dove calma e quiete non sono proprie neppure delle preghiere domenicali. C’è il rumore del traffico a guidare i miei passi incerti e le voci dei passanti a darmi la misura delle distanze, tutto il resto sono vite assordanti passate al frullatore.Abito ancora nella casa dove sono nato, vicino al teatro con le porte rosse – almeno, così erano un tempo – e i giardini pubblici, dove le grida dei bambini si attenuano solo quando scende la notte.La mia casa è grande, lo era già abbastanza per tutta la famiglia, figuriamoci ora che sono rimasto solo. 
I miei genitori, che Dio li benedica, hanno lasciato questo mondo ormai tanti anni fa, i miei fratelli calpestano luoghi stranieri e io non sono mai riuscito a costruirmi una famiglia che decidesse di restarmi accanto.Convivere con il mio problema può non essere facile, la mia è una vita che non conosce più i dettagli ma si limita solo alle informazioni generali che un bagliore può dare. 
Non posso dire ad un volto di donna quanto la sua bellezza mi colpisca, non posso scegliere il colore delle rose, non riesco a sussurrare “Ti amo” senza dover ricorrere alle parole. 
Perché i miei occhi non parlano. A volte solo il dolore loro gridano. Le donne non sono attratte da me. Dove c’era una volta l’iride verde ora aleggia una patina senza anima che mette a disagio. Dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima…la mia anima appare al mondo bianca e fredda come la neve.Ma con lei era tutto diverso.Lei mi guardava e io riuscivo in qualche modo a vederla.La conobbi una sera ubriaca di pioggia. Le gocce cadevano arroganti e picchiavano forte il mio povero viso già affranto e disgustato dal sapore amaro di un pessimo rhum. Mi trascinavo toccando i muri dei palazzi, non perché io non riconoscessi la strada, ma perché alcool e malinconia trasformavano le mie ossa in inutili stracci.Passai attraverso il vecchio mercato, la piazza e la biblioteca. Sotto i miei piedi l’elegante ciottolato divenne fango, facendomi capire che il quartiere bene periva ormai alle mie spalle, ciò che si innalzava davanti a me era lo scarto della città, un luogo che non vede mai il sole, solo soldi sporchi e puttane.Mi ritrovai in tasca ciò che il bar mi aveva lasciato, pochi biglietti ora mai umidi, sarebbero dovuti servire a comprare il pranzo per il giorno successivo, ma io decisi che con quella carta maleodorante avrei comprato l’amore.Entrai al bordello salutando cortesemente chi mi si parò davanti. Il profumo volgare e la voce altisonante della padrona di casa mi avvolsero, non facendomi neanche preoccupare della natura sgradevole del mio aspetto e del mio alito. La merce era esposta, ma io, come un bambino piccolo che si arrampica sulla vetrina della pasticceria, non ero in grado di decidere chi avrebbe meritato il mio denaro. Come ho già detto le donne non sono attratte dal mio aspetto, mi si rivolgono come si farebbe con un tonno senza vita giacente sul ghiaccio, ma il profumo grigio delle banconote fanno di me un uomo piacente come chiunque altro.La musica graffiava la mia mente e l’odore di amplessi consumati infastidiva il mio olfatto, tutto vorticava e confondeva il tempo, facendolo fermare in quell’insieme di falsi sentimenti.Io sostavo in piedi davanti ai divani, aspettando che la risposta arrivasse da chissà dove, quando sentii una mano afferrarmi il polso. Era calda, morbida, come un pezzo di pane appena sfornato. Mi disse di seguirla. Parlava pacatamente, senza fretta, vittima forse anche lei di quel luogo che aveva dimenticato che il mondo va sempre avanti.Salimmo le scale e mi fece entrare in una camera.Non chiese nulla, non il mio nome, né da dove venissi, né che tipo di squallido amore volessi comprare. Mi tolse la giacca e mi baciò. Sapeva di vita vera. Lei di favole sicuramente ne aveva conosciute poche. Si spogliò e si stese sul letto. Il mio udito seguiva il fruscio freddo delle lenzuola, mi sdraiai accanto a lei. Non conoscevo il colore della sua pelle ma lo immaginai bianco come il latte, non sapevo di che colore fossero i suoi capelli ma li immaginai rossi come il papavero, ignoravo il colore dei suoi occhi, ma il sapore salato del suo sudore era mare, così decisi che fossero blu. La strinsi a me dimenticandomi il perché inutile delle cose e la toccai tanto da farmi male, come per imprimere quella gioia sui polpastrelli delle mie dita. Sentivo il suo respiro affannato vicino al mio orecchio e la immaginai socchiudere gli occhi. Feci finta di crederla innamorata di questo povero cieco, ubriaco di pessimo rhum e immaginazione. Facemmo l’amore tutta la notte, senza parlare, senza voler sapere. Io la vedevo. Vedevo il suo viso, la sua bocca, vedevo le sue mani stringersi in pugni chiusi, vedevo la donna che avrei voluto vedere. Vivevo la mia vita nell’ombra di notti senza fine, ma quella sera mi apparvero stelle di cui si ignora il nome e il vento che muoveva le fronde degli alberi. Vedevo lei, vedevo me.Al mattino le tasche si svuotarono del denaro e si riempirono di solitudine e bagliori fasulli ancora una volta. Tornai più volte al vecchio bordello, ma mai più trovai la donna che avevo voluto vedere. Se ne era andata, con la sua valigia e la speranza di iniziare un’altra vita lontano. Nella valigia, lei non seppe mai, mise anche le mie stelle e le fronde degli alberi mosse dal vento. Si portò via la mia vista.Ancora oggi capita che io mi stenda sul letto senza essere assonnato, chiudere gli occhi – perché è così che fanno le anime che vedono, chiudono gli occhi per non vedere…io lo faccio per vedere meglio- e ricordare la donna che mi regalò una notte presente nel mondo. Sorrido quando poeti e arguti consiglieri declamano ad alta voce che “l’amore è cieco”…io posso dire che il mio amore, io, lo vidi benissimo.

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