venerdì 12 dicembre 2014

I conigli di Amelia

Si infilò le ciabatte con cautela, come se ad aspettare le sue dita ci fossero braci e non cuciture. Stringevano, avrebbe dovuto comprarne di nuove. La vestaglia rosso imperatore, lesta arrivò a cingergli le spalle, rassicurandola che in quella mattina fredda non sarebbe mancato un abbraccio a confortarla. Aprì la porta della stanza e si diresse verso le scale. Non era ancora l'alba, la notte la faceva da padrona e tutto era ricoperto da ghiaccio e silenzio. Non le era mai piaciuto tanto dormire, "Ci si riposa una volta morti!" era solita a rammentare a chi tentava di frenare quel suo fare perennemente energico.
Appoggiò la mano al muro, scivolando con le dita tra i granelli che la vecchia pittura scrostata aveva lasciato. I muri della casa dov'era cresciuta erano diversi, ancora ricordava le traballanti assi di legno impregnate di umidità e vecchie storie.

Lei tra il legno e leggende c'era nata, apparteneva a quella generazione che ancora sapeva trasformare il "poco e niente" nel "tanto", riuscendo ad addormentarsi serenamente anche tra pareti che si spalancano al passare del vento invernale.
Scese le scale sempre tenendo la mano appoggiata al muro, vacillando e ignorando le proteste delle vecchie ossa acciaccate. "Gli animali non hanno orari scomodi o brutte stagioni" le era stato insegnato e così, con il ghiaccio o con il sole i suoi conigli dovevano avere la loro razione di fieno.
Aprì la porta e si strinse nella vestaglia di lana. Il fiato formava dense nuvolette bianche e le dita si intorpidivano sotto la morsa del freddo.
Mosse il primo passo facendo scricchiolare l'erba congelata, pareva quasi di incamminarsi su un viale di vetro. Si fermò il tempo necessario ad osservare le stelle, gelide e perfette, dispettosamente brillanti in mezzo a quel cielo colorato ad inchiostro. La notte le era sempre stata amica, la trovava a dispetto della luce più simile alla sua anima, romantica ed affascinante come il volto della sposa sotto il ricamo del velo. Stringeva nel pugno ora mai bluastro il piccolo cestino...Poveri i suoi conigli! Anche loro stavano probabilmente cercando di scaldarsi l'un l'altro dormendo vicini. 
Suo marito aveva sempre avuto la passione dei conigli. Gli mettevano allegria, così almeno lui diceva. Forse per quel buffo movimento del naso, o forse perché le orecchie lunghe sono facili da amare. Li avevano sempre avuti, fin da quando si erano sposati ormai più di cinquant'anni prima. Il letto, la stufa e la conigliera era tutto ciò che la vita gli diede per iniziare una nuova vita, là sperduti su quella collina che contava più alberi che cristiani. C'era solo la loro casa lassù e niente altro...e niente altro gli era mai servito per poter essere felici. Ora le cose erano diverse, le coppie stavano insieme solo pochi anni prima di lasciarsi e il matrimonio era giusto una buona occasione per spendere soldi e vestirsi bene. Non era mica stato così per loro. Loro si erano presi e pure tenuti. A dirla tutta, neanche avevano mai pensato di allontanarsi l'uno dall'altra.
Il nero si stava arrendendo ai primi bagliori azzurrognoli del giorno, buio e luce si litigavano il cielo strattonandolo come un prezioso giocattolo. 
Lei proseguiva a passo lento sugli steli piegati e sulle dimore invernali dei futuri fiori, non smettendo un secondo di valutare con perizia dove appoggiare l'incerto piede. I rami degli alberi nudi si muovevano nel vento leggero annunciando il buongiorno, stiracchiandosi ma evitando di sbadigliare, per educazione, davanti alla signora. Tutto quel ghiaccio le ricordava il giorno in cui nacque sua figlia Lisa.
Era freddo, freddissimo, le porte non trattenevano gli spifferi e il vapore del catino d'acqua bollente non bastava a far cessare i brividi lungo la schiena. Lisa doveva essere al corrente della situazione all'esterno perché proprio non ne voleva sapere di uscire. Ah si, adesso è tutto cambiato, ci sono tanti ospedali con tanti farmaci con tanti nomi per ammutolire invano quel solo dolore, ma allora, sulla collina, con il solo letto e le conigliere la storia era diversa. Fuori era freddo, freddissimo...ma il corpicino caldo di Lisa riuscì in qualche modo a portare un po' d'estate in quella stanza fredda, anzi, freddissima.
Il sole ora scalpitava per mostrarsi bel bello in tutto il suo splendore e le stelle ormai combattevano stanche.
I primi raggi illuminavano il prato della collina, la brina si appoggiava come cipria su qualsiasi cosa, fermando il ticchettare di tutti gli orologi del mondo, congelando il tempo e il rumore delle vite che invecchiano. Le labbra tremavano e gli occhi piangevano una tristezza fasulla, effetto non voluto del vento freddo tra le ciglia.
Quando era giovane le cose erano diverse. Con un salto raggiungeva il fienile, con due la piazza del paese sotto la collina e con il terzo tornava sotto le coperte a fare l'amore con suo marito. Adesso le conigliere parevano lontane mille chilometri e ogni passo pesava come un macigno. Quando Lisa era piccola passavano ore insieme ad accudire gli animali. Preparavano il fieno, tiravano l'acqua dal pozzo e si accertavano che ogni agnello raggiungesse la madre al pascolo.
Lisa adorava gli agnellini, voleva sempre giocarci...non come il padre, che preferiva i conigli. 
Ora Lisa era cresciuta, si era sposata e aveva avuto due bambini, biondi e pestiferi come folletti dei boschi. A lei dispiaceva che sulla collina non ci fossero più gli agnelli, i suoi nipoti non avrebbero potuto giocarci...si sarebbero dovuti accontentare dei conigli del nonno. Il cielo era rosa, le nuvole ballavano un lento valzer aspettando che il vento le portasse via.
Lei doveva riposare, le gambe facevano male e la schiena sembrava decisa a non raddrizzarsi. 
Il cestino aspettava immobile di essere svuotato e le strette ciabatte avevano smesso di avanzare. Si era seduta sulla panchina del viale, il respiro era pesante e lo sguardo perso nel vuoto. Forse la vestaglia non bastava a dimenticare l'inverno, "Speriamo che i conigli non si arrabbino, oggi sono molto in ritardo". Menomale che suo marito ancora dormiva, altrimenti avrebbe avuto da ridirne anche lui. "Gli animali non hanno orari scomodi o brutte stagioni".
Il ghiaccio non pareva intimorito alla vista del sole, non lo turbava tutta quella luce e quel lieve calore. Sarebbe rimasto ben saldo al suo prato.
Lei si sciolse i capelli, non erano certo una calda sciarpa di lana, ma si adagiarono sul collo riparandolo un poco. Li aveva sempre tenuti lunghi. Una volta erano neri come un merlo sporco di fuliggine, ora il nero aveva accolto l'argento. La piccola Lisa prese dal padre, aveva toni chiari e pacati di una pesca matura. La bellezza della luna l'aveva lasciata alla madre.
Era mattino e le conigliere erano lontane...forse quella mattina non ce l'avrebbe fatta ad occuparsi degli animali.

"Amelia?"
Una voce ruppe il silenzio.
Comparve un'esile figura vestita di lana e sorpresa. Ripeté il suo nome.
"Amelia? Cara è molto freddo, hai solo la vestaglia"
Amelia guardò la donna, cercando di costruire nella sua mente il puzzle che riportasse l'immagine di un viso noto.
"Si, ho freddo. Ma gli animali non hanno orari scomodi o br..."
"...brutte stagioni. Lo so mia cara"
Ella si avvicinò calpestando il fango ghiacciato e le certezze liquide di Amelia.
"Dove stai andando Amelia?"
"Dai conigli, sono già in ritardo"
La ragazza le cinse il braccio e mosse con grazia le labbra.
"Non ci sono conigli qui Amelia", la scrollò delicatamente, "Vieni dentro. Andiamo"
"Ma devo andare dai conigli, devono mangiare. Poi mi marito si arrabbia, a lui piacciono tanto i nostri conigli".
La voce al sapore di latte e miele le arrivò all'orecchio. "Amelia torniamo dentro dagli altri. 
C'è la colazione. Ci pensiamo domani ai conigli"
Amelia la guardò.

"Dov'è mio marito?"

Il tocco gentile dell'infermiera le scostò i capelli dalla fronte pallida. Sospirò.
"Vieni dentro Amelia. Ti preparo un the caldo"

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