Il Sig. Forrester era
un Sopportatore.
Attenzione, non
parliamo di una persona dal carattere pacato e nobile pronto a sopportare il
male del mondo senza battere ciglio, parliamo di un Sopportatore
professionista.
Lui era un
Sopportatore per lavoro.
Aveva cominciato l’attività
sin da ragazzino, quando la nonna se lo trascinava dietro durante i fine
settimana, responsabile per lui nell’assenza dei genitori, troppo impegnati ad
essere superficiali ed egoisti per concepire di portarsi il figlio alla casa al
mare, piena di alcolici pregiati e serate dal sapore snob.
La nonna era dolce,
buona, lo stringeva quando l’uomo nera si materializzava sotto il letto e la
febbre saliva. La nonna era una grande nonna, oh certo…ma aveva sempre un sacco
di “commissioni” da sbrigare. Neanche a dirlo, le commissioni delle nonne sono
sempre una grande seccatura. C’è da ritirare la pensione dopo ore di
interminabili code, c’è da interrogare l’ortofrutta sulla qualità delle cipolle
magari non badando al temporale (non c’era verso di convincerla ad avvicinarsi
ad un supermercato, non era “di qualità”…vero nonna, ma almeno è al chiuso), c’è
da prendere il the al circolo, una stanza dall’arredamento antiquato che odora
di naftalina. Bobby Forrester era sempre
lì, accanto alla nonna, a sopportare per amore, senza aprire bocca, nemmeno
quando un gruppo di profumate settantenni si avvicinava avido alle sue guance.
Lui sopportava. Perché lo faceva sentire un bambino giudizioso e disponibile, pronto
a sacrificare il suo tempo per qualcosa che avrebbe reso contenta la nonna.
Così era nata la sua
carriera.
Al liceo prendeva le
botte dai più grandi anche se grosso abbastanza da potersi difendere, bastava
un panino per comprare la sua forza d’animo e le sue braccia livide, evitando
così di essere malmenati solo perché si portavano gli occhiali o si era troppo
bravi al corso di matematica.
I romantici mandavano
lui ad ammuffire sotto la pioggia nell’attesa che la finestra dell’amata si
aprisse. Se andava bene avrebbero salito le scale sette gradini alla volta, se
fosse risultata un’impresa fallimentare poco male…quello con il raffreddore
sarebbe stato Bobby Forrester.
Divenne adulto e con
lui la voglia di sentirsi indispensabile e prezioso, così che, dopo sacrifici e
risparmi fatti fruttare all’ombra di generosi interessi, Bobby aprì la sua
agenzia. “IoSopportoAgency”, con tanto di slogan e pubblicità “Perché a volte,
bisogna chiedere una mano”
L’ufficio si trovava
vicino alla piazza con la grande fontana, non troppo esposto da sembrare la
copia ridicola di una multinazionale ma abbastanza visibile da attirare l’attenzione
nei giorni di sole, quando l’elegante scritta bianco e oro brillava.
La sede era piccola,
quel che bastava per una scrivania, qualche schedario, una pianta dal nome
esotico e un intimo bagno in ceramica nascosto sul retro. Il sig. Forrester non
aveva impiegati. Non che non ci fosse da pagarli, in questo mondo veloce e
ansiogeno gli affari non mancavano, ma perché fondamentalmente non ne aveva
bisogno. Era totalmente in grado di gestire il tutto da sé.
La mattina arrivava
puntuale come un orologio svizzero, 8.30 senza discutere, con in mano una tazza
di caffè non zuccherato e una ciambella ricoperta di godereccia marmellata al
lampone. Apriva la finestra, controllava la segreteria, dava l’acqua alla
strana pianta e cominciava la sua giornata.
A volte le giornate
passavano quiete, solo qualche incarico di poco conto, come una fila in posta o
una riunione scolastica colma di pessimi voti e note disciplinari…altre volte
il guadagno arrivava dopo visite all’ospedale, funerali e notizie dai colori
non certo allegri. Bobby era preparato a questo genere di cose, era un uomo
adulto e consapevole, professionale e dedito alla causa…ma certe volte il pane
in tavola portava il sapore di frasi rotte dal pianto e sguardi vuoti. Lui era
un Sopportatore, era pagato per questo. Sopportare quando gli altri non
potevano. Quando una moglie doveva dare un ultimo saluto al marito e non se la
sentiva, quando un ragazzino doveva entrare in sala operatoria, quando un licenziamento
causava un’amara depressione. Lui era lì a sopportare. Entrava in gioco per far
riposare gli altri, dare alle persone un momento di stacco. Lui era la riserva
da fare entrare in campo quando il gioco era troppo duro e ci sarebbe fatti
troppo male. Il Sig. Forrester era una brava persona, a volte neanche pensava
ad avere guadagno, a volte offriva i servigi della sua agenzia “gratis”.
A lui piaceva il suo
lavoro in fin dei conti, era senza dubbio utile alla società e alla sua buona coscienza.
“IoSopportoAgency mi
dica”
“Buongiorno, chiamo
per prenotare un pomeriggio di shopping con mia moglie”
“Nessun problema,
siamo qui per lei. Dove e quando?”
“Ecco, sarebbe il
prossimo sabato, al centro commerciale Le Rondinelle”
“C’è qualche cosa che
dovrei sapere? Attenzioni particolari per la Signora?”
“No no, nessuna…Oh
beh, è periodo di Saldi…le faccia credere che le importa qualcosa”
“Quante ore vuole
prenotare?”
“Tutte quelle che
riesce!”
E così via. Il
periodo di Natale era in assoluto il migliore dell’anno, c’erano tante di
quelle file da fare e feste noiose a cui andare che l’agenda del Sig. Forrester
assomigliava sempre più ad un cifrario dei Servizi Segreti più che ad un
oggetto ad uso comune.
Tutto cambiò una
fredda mattina di autunno, quando le foglie ormai facevano da coperta all’asfalto
e nessun uccellino aveva voglia di gioire di tutta quella brina.
Bobby era stato
incaricato di partecipare ad una conferenza sulla crescita di alcune specie di
funghi brasiliani. Il terribile evento si sarebbe tenuto nella sala lettura
della biblioteca comunale, un accumulo di mobili di seconda mano che qualunque
signora dei sobborghi avrebbe gradito in quanto “vintage”. Senza apparente
motivazione la sala andava via via riempiendosi, nessuno avrebbe certo
scommesso che i funghi brasiliani avessero tanto successo. Infatti…non era per
parlare di viscidi esemplari che orde di scienziati e non erano accorsi
numerosi tra quelle mura. Il motivo era lei.
Se ne stava seduta su
un piccolo sgabello al di là del bancone.
Indossava una camicia
azzurra con piccoli bottoni perlati, una semplice catenina tintinnante e un
sorriso che faceva dimenticare come diavolo si chiamassero tutte quelle muffe.
Era la bibliotecaria…e
nessuna principessa rinchiusa tra vecchie pagine e solenni torri avrebbe potuto
rubarle la scena. Era bella, come sono belle le cose che non sanno di esserlo.
Era una margherita e una nuvola. Era una sera d’estate e una giostra illuminata.
Era zucchero filato e l’odore del caffè.
Guardava distratta
attraverso gli scaffali cercando
etichette da contare e titoli da catalogare, non aveva assolutamente notato gli
sguardi appiccicati ai suoi fianchi e i desideri sparsi nell’aria.
Il Sig. Forrester
dimenticò di essere professionale. Il Sig. Forrester dimenticò tutto.
La guardava rapito
come un bambino segue la scia degli areoplani, non capendo più che appunti
avrebbe dovuto prendere e cosa avrebbe dovuto ricordare al cliente una volta
sistemata la cartella nello schedario. La conferenza terminò troppo in fretta.
Quante ore erano passate? Una? Due? Una settimana? Ma che importava…il giorno
dopo l’agenzia si sarebbe presa le ferie per andare a ritirare qualche libro
alla biblioteca.
Spuntò il sole sulla
città e Bobby saltò giù dal letto più agile di un grillo. Si fece con cura la
barba, si sistemò la cravatta buona e tentò goffamente qualche sguardo d’intesa
tra se stesso e lo specchio. Non prese la macchina quella mattina, i suoi piedi
avevano bisogno di spiegare al suo fiato che non era il caso di affannarsi
tanto e una passeggiata avrebbe sicuramente aiutato. Faceva freddo, il sole
brillava e basta, aveva lasciato il caldo rintanato in casa, ma a Bobby poco
importava. L’avrebbe vista. Bastava e avanzava anche di un bel po’.
Salì i gradini della
biblioteca. Prese un bel respiro. Varco la soglia. Si sentì svenire.
La cingeva la mano di
un altro uomo, mentre lei giocava con i riccioli della bambina che le stava
ridendo in braccio. Era una moglie. Era una mamma.
La donna di cui si
era innamorato follemente soltanto dopo uno sguardo non avrebbe mai potuto
essere sua.
Si sentì un tonfo
sordo. Non siamo banali vi prego, non era un cuore spezzato…oh no, molto peggio…era
una consapevolezza. Lei non sarebbe mai stata sua…e lui non poteva sopportarlo.
Si congedò come i
soldati che hanno compreso l’inutilità della guerra e del sangue versato,
trascinando i piedi e guardando il mondo con occhi diversi, più vigili e non
più annebbiati da errate convinzioni.
Lui non poteva
sopportarlo.
E ora? Cosa avrebbe
fatto? Avrebbe dovuto chiudere, certamente, quale utilità poteva avere un
Sopportatore che non sopporta?
Passarono i mesi, la
grigia pioggia dell’autunno e la bianca neve dell’inverno se ne andarono
indispettite al cospetto di una primavera frizzante e profumata. La vita
tornava, così come un’agenzia non troppo esposta ma neanche troppo nell’ombra.
Un’agenzia nuova, innovativa, con meno pretese…si forse, un’agenzia con una
marcia in più.
Brillava una nuova
scritta.
“IoSupportoAgency – Perché
a volte bisogna chiedere una mano”
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