martedì 19 novembre 2013

Fields of gold

“Hai dei bellissimi orecchini oggi”.
La piccola Matilde guardava rapita quell’oscillare di argento e pietruzze costate poco più di cinque dollari al mercato vintage del sabato mattina. Aveva gli occhi grandi, enormi, due specchi capaci di riprodurre crudelmente ogni riflesso di quella realtà dai toni pastello.
“Grazie Matilde, anche i tuoi sono molto graziosi”.
L’infermiera Harrison sorrise benevolmente a quell’ammasso di innocenza che le sedeva davanti.
“Come stai oggi? Com’è andato il tuo fine settimana?”.
Trascinò verso di lei la sedia girevole nascosta nell’angolo per prendere posto di fianco alla bambina.
“Sto una favola. Mamma mi ha lasciato guardare un sacco di televisione perché fuori pioveva.
E pure la nonna è venuta a trovarmi. È stato un bel week end”.
Matilde voltò lo sguardo alle piccole gocce che scendevano contro voglia dentro il tubicino trasparente.

“Oggi devi raccontarmi un'altra storia. Quella della settimana scorsa era bellissima! Ho anche riprovato a riscriverla sul mio quaderno ma devo ammettere che quando le racconti tu…sono molto molto più belle”. L’infermiera Harrison contrasse il viso in una smorfia curiosa, cercando di creare in pochi secondi qualcosa che facesse correre più in fretta le lancette dell’orologio sulla parete.
“Ti ho mai raccontato della casa dove sono cresciuta?”.
Matilde la guardò sorridendo accennando un timido “no” con un piccolo cenno del capo.
“Io non sono cresciuta qui in città… Anzi, tutt’altro. Sono nata in un piccolo paese sperduto in mezzo alla campagna. D’inverno tutto si copriva di neve e d’estate, beh, d’estate tutto diventava d’oro”.
“D’oro?”
“Si, d’oro. Il grano cresceva alto e fitto su tutta la pianura e quando non c’erano nuvole potevi perderci la vista a cercare la linea dell’orizzonte tra terra e cielo. Era molto bello.”
Matilde giocherellava con la moltitudine di braccialetti colorati attaccati all’esile polso, facendoli roteare in un allegro girotondo di faccine sorridenti e cuoricini.
“Mi piaceva tanto l’estate. Di giorno il sole picchiava sulle nostre teste e noi scappavamo sotto i grandi alberi per trovare un po’ di sollievo. Sai, c’era un gioco che ci piaceva molto. Io e mio fratello correvamo come matti sotto gli irrigatori del giardino, inseguivamo ogni singola goccia per poi asciugarci di nuovo in un battere d’occhio a doccia finita. Era divertente”
“Io non ho mai fatto la doccia in giardino.”
“Lo immagino! Ma a noi serviva proprio durante quelle giornate caldissime”.
Il monitor lampeggiava numeri e valori senza anima, la sacca appesa alla gruccia metallica si svuotava piano piano.
“E poi che facevate?”
“C’erano le corse.”
“Le corse?! Con le macchine?”
“No niente macchine, le corse nel prato… Che in verità non era altro che un vecchio campo da calcio che nessuno usava più. Facevamo a gara. Allo scattare del via noi partivamo come schegge fino alla fine della rete, facendoci scoppiare i polmoni per poi litigare e arrabbiarci contro quello che arrivava primo.”
“E tu vincevi spesso?”
“Io vincevo sempre! Ero proprio un maschiaccio”
Matilde sorrise mostrando la finestrella lasciata dall’addio dagli incisivi da latte.
“Anche a me piace correre. Adesso non posso perché mi stanco subito però sono velocissima! Neanche papà riesce ad acchiapparmi”
L’infermiera Harrison le accarezzò i capelli ormai radi, trovandosi a tu per tu con l’innocente coraggio che hanno tutti i bambini dentro quelle quattro mura.
“Lo so che corri velocissimo. Mi sembra di vederti volare.”
“Dimmi ancora dei campi d’oro”
La ragazza si sistemò sulla sedia, legandosi velocemente i capelli con l’elastico a forma di giraffa che amava indossare in quel reparto.
“I campi d’oro…sembra una bel posto per una favola no? Io e mio fratello ci perdevamo sempre la palla. Ogni santo giorno, nessuno escluso. Giocavamo sul retro della casa, proprio al confine con i campi e in un attimo ecco che la palla finiva al di là della rete. Non sai che lotte per decidere chi doveva andare a recuperarla! Devi sapere che la nostra casa era divisa dalla proprietà del vecchio contadino da una rete pericolosissima! Tutta arrugginita e scassata, ci guardavamo bene da quelle punte taglienti… E così, se volevamo riprenderci la palla dovevamo camminare fino alla fine della proprietà per entrare da dove la rete terminava.”
“E chi andava a prenderla? Io ci avrei mandato mia sorella perché lei è più piccola e io sono il capo”
“Più o meno funzionava così anche per noi. Spesso ci andavo io… Ma era bello frugare tra le spighe. Mi piaceva passare la mano tra il grano e sentirlo pungere. È bello sentire il rumore del grano Matilde”.
La bambina chiudeva gli occhi a intervalli regolari, cercando inutilmente di scacciare il sonno che la stava venendo a trovare.
“Che suono fa il grano?”. Uno sbadiglio arrivò svelto.
“Fa un suono…dolce. Quando arriva il vento lo puoi sentire frusciare, ondeggia piano, sembra un’onda che però non sa di mare. E di notte si mette a cantare con i grilli e le cicale. La mia mamma lasciava la finestra della camera aperta e io sentivo il grano che chiacchierava con gli animali che vivono la notte.”
La sacca era quasi vuota. Incredibile come il veleno abbia lo stesso colore dell’acqua.
“Mi piacerebbe vedere i tuoi campi d’oro”.
Gli occhi erano chiusi, le parole stanche.
“Appena stai meglio ti ci porto. Promesso”.
L’infermiera la coprì con una trapunta che portava il nome di personaggi televisivi. Lasciò la stanza dopo essersi assicurata che ogni numero lampeggiasse al giusto ritmo. Non chiuse la porta, sarebbe entrata la madre da lì a pochi istanti.
“Come sta? Scusa se ti ho lasciata ma avevo bisogno di un caffè”. La mamma della bambina sconfiggeva la stanchezza a ritmo di caffè e pensieri lontani e felici.
“Non preoccuparti. Sta bene. Oggi sta bene. Mi ha detto del bellissimo week end”
La donna guardò la giovane infermiera senza vederla, oltrepassando il suono delle parole che ormai avevano così poco peso. Volse lo sguardo a Matilde, attorcigliata nella coperta e silenziosa.
L’infermiera le appoggiò la mano sulla spalla cercando un contatto.
“Andrà bene”.
E in cuor suo lo sapeva.

Sarebbe andato tutto bene.  
Tutti dovrebbero ascoltare il rumore dei campi d'oro.


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