mercoledì 18 dicembre 2013

Una promessa per Anna

Anna scese le scale a passo leggero, avvolta dal caldo tepore della vestaglia che confortava il suo spirito quando fuori tutto ammutoliva sotto il gelo dell’inverno. Arrivò in cucina e accese la luce.
Un calore familiare illuminò la notte, svegliando però il povero gatto Leo appollaiato come un canarino sul bracciolo della poltrona. Anna mise su l’acqua per il tè, muovendo con grazia innaturale le dita affusolate e organizzate in un morbido balletto.
Fuori dalla finestra il mondo dormiva, la neve cadeva abbondante quella sera di febbraio e nulla pareva impaziente di tornare a nuova vita.
Anna sfilò dalla tasca della vestaglia la piccola chiave argentata. Un giro soltanto e il piccolo cassetto si aprì, sputando fuori con poca eleganza cartacce e documenti bancari accumulati negli anni.
Lei infilò la mano verso il fondo, sapendo bene che sensazione avrebbero provato i suoi polpastrelli una volta raggiunto lo scopo.
Afferrò la piccola busta, che scaltra e un poco timida giaceva rintanata nell’angolo più lontano del cassetto.
La teiera fischiò con fierezza che il suo lavoro era terminato, pretendendo attenzione e una tazza di ceramica a lei corredata.
Anna appoggiò la busta sul tavolo, spendendo minuti preziosi a decidere quale aroma avrebbe prepotentemente preso possesso della stanza. Quella notte era una notte alla cannella.
Sedette sullo sgabello vicino ai fornelli mentre aspettava il placarsi del vapore.
Aprì la lettera, forse per la millesima volta.

“Mia cara Anna,

ti scrivo nella speranza che le mie parole possano sorvolare oceani e pianure ancora una volta, giungendo a te che pazientemente aspetti buone nuove soltanto.
Oggi è stata una giornata lunga ma lieta, io e i miei compagni siamo riusciti a barattare cioccolato e sigarette per un paio di mazzi di carte, creando così una bisca clandestina che poco avrebbe avuto da invidiare ad un infimo bar di periferia. Per qualche istante ci siamo dimenticati di tutto, riuscendo a gioire delle piccole gioie che questa vita può offrire, in questo posto a cui Dio ha tolto il nome.

È ormai più di un anno che manco da casa, se non fosse per un calendario che me lo ricorda giurerei di essere partito almeno cento anni prima. Qui il tempo scorre irregolare, scandito dalla sospettosa quiete della notte e dall’assordante rumore di schegge e proiettili durante il giorno. Un momento stai guardando le stelle gelare pacifiche nel cielo e un secondo dopo ci sono solo polvere e frastuono a gridarti di correre veloce, perché non c’è neppure il tempo di pensare.

Siamo soli e persi qui, mia dolce Anna, aggrappati ad un sorriso che abbiamo visto prima di partire o una mano che ci ha sorretto di cui neppure conosciamo l’identità. Siamo pedine che si muovono all’interno del gioco più pericoloso che ci sia, cercando di ignorare che qui non si contano punti e vittorie ma solo vite rimaste tali o meno.
Siamo stati addestrati per giocare questa partita, con disciplina, rigore, fierezza ed impegno, il nostro compito è svolgere al meglio la missione a noi imposta, non ci è permesso il lusso di domandarci quanto lontano i nostri limiti possano essere spinti.
Non c’è motivo di usare troppo sentimento e pensiero, ciò che rende l’uomo diverso dall’animale qui è considerato pericoloso, potrebbe distrarci, allontanarci dal raggiungimento dello scopo, renderci deboli.

Ma io sono un uomo a cui batte il cuore dentro il petto e quando la mia mano non si irrigidisce al saluto e non impugna il fucile, subito immagina di accarezzare ancora una volta i tuoi capelli e il tuo viso, immagini così nitide nella mia mente da apparire reali appena socchiudo gli occhi.
Avrei preferito portarti con me in un altro posto, magari al mare durante l’estate e non qui, dove il sole ha smesso anche di scaldarci e l’erba ha perso il suo profumo.

Mi piacerebbe portarti al mare. Magari rubando la motocicletta di mio fratello e una bottiglia di vino dalla cantina. Potremmo partire nel fine settimana, quando il tuo ufficio chiude e tu non devi lavorare, andarcene dalla città per un paio di giorni, solo io e te, senza tua madre e tua sorella che controllano dalla cucina ogni volta che vorrei darti un bacio.
Mia cara Anna, in fondo, credo solo che mi basterebbe essere a casa e tanto lontano da qui.

Spero soltanto che tutto questo finisca in fretta, che chi di dovere smetta di scommettere le sorti del mondo ignorando lo scotto che tutti noi stiamo pagando.
Spero anche di poterti un giorno rivedere Anna, spero di poterti sposare e sognare una grande e chiassosa famiglia, piena di bambini e storie attorno al fuoco. Perché vedi mia cara Anna, tutto ciò che sembra normale qui prende il volto di un sogno, regalandoci la speranza di potere un giorno realizzare ciò che ogni uomo di cuore meriterebbe.

Aspettami Anna, tornerò.

Con amore, J.”

Il tè si era raffreddato.
Anna aveva dimenticato la tazza. Così come la neve e il significato di tante parole.
Era la millesima volta che stringeva tra le mani quella lettera. Per la millesima volta le stesse sensazioni riemergevano, ignorando il tempo ormai trascorso e il mutare delle cose.
“Tornerò”. Quale importante promessa un uomo riesce a fare. Quante sono le promesse che si riescono a mantenere?

“Che fai?”. Si avvicinò al bancone della cucina cercando di abituare gli occhi alla luce.
“Non riuscivo a dormire. Sono scesa per bere una tazza di tè”. Anna sollevò lo sguardo mentre le mani nascondevano la busta nella tasca.
“Mh. Odore di cannella. C’è rimasto qualche goccio di tè anche per me?”. Gli occhi ora vigili e sorridenti cercavano una risposta affermativa che non tardiva arrivò.
“Cosa c’è mia cara sembri strana”, lui le si avvicinò toccandole la spalla, non facendo per nulla caso al bianco angolino della lettera che spuntava dalla vestaglia.
“Non ho nulla, stavo solo pensando a cose passate”. Ed era vero. Erano passate.
“Questo tè alla cannella sa troppo di cannella. Torno a letto tesoro, domani ho promesso a Tommy che saremmo andati al parco”
“Finirai per romperti la schiena se insisti a giocare con tuo nipote tutti i santi giorni” .Sorrise benevola.
“Sono solo vecchio mica morto! E poi è questo che un bravo nonno dovrebbe fare. Viziare i nipoti”. Si incamminò verso le scale sistemandosi il pigiami che cadeva senza peso sulle sue spalle.
Anna sistemò la tazza nel lavello.
“Jim?”
Lui si voltò.
“Pensavi tanto a me quando eri in guerra?”
“Oh. Beh…Si, ogni tanto…Tra una partita di poker e l’altra.” E sparì nel buio dei gradini.
Anna sorrise davanti alla timidezza di suo marito. Dopo tutti quegli anni non riusciva ancora a nasconderla, neanche sotto pesanti strati di dopobarba.
Anna richiuse la busta nel cassetto. Girò la chiave. Spense la luce.

“Aspettami Anna, tornerò”


E lui tornò.



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