"Apri
la bocca Amy...Arriva l'areoplano!"
Amy era
giá in grado di usare il cucchiaio da sola, ci riusciva anche bene, ma il suo
impegno richiedeva tempo che ora non avevano. Hannah camuffava la
preoccupazione e un pesante cerchio alla testa dietro i ruomori di un
immaginario aeroplanino che trasportava omogenizzato alla frutta.
Dovevano
sbrigarsi se volevano prendere la metropolitana prima dell'ora di punta, quando
New York andava al lavoro indossando completi scuri e cravatte colorate che
facessero dimenticare le ore extra passate alla scrivania.
"Dai
Amy l'ultimo carico dell'areoplano!"
Il
vasetto era ora vuoto e il piccolo stomaco di Amy pieno, il che voleva dire
sonnolenza, il che voleva dire che Hannah avrebbe potuto portarla in braccio
come un piccolo sacco di patate che non oppone resistenza. Una semplice
reazione a catena che quel giorno di metropolitane e parole sarebbe tornata
utile.
Uscirono
di casa mandando un veloce saluto al gatto a cui poco interessava di dove
sarebbero andate, a patto che fossero tornate in tempo per riempire la ciotola
di croccantini giá assurdamente colma.
Hannah
si diresse veloce verso la fermata della metropolitana, controllando
mentalmente se avesse tutto con sé prima di arrivare in ufficio.
Figlia:
ce l'ho.
Chiavi:
ce le ho.
Tessera
della metro: ce l'ho.
Documenti
per il divorzio: ce li ho.
New York
rispledeva ancora della leggerezza dell'estate, dipingendo il cielo di un
azzurro irreale e sollevando irrispettose gonnelline a pieghe...Ma di
quell'estate prolungata in quel giorno di settembre Hannah non sentiva nulla se
non la tenace fitta allo stomaco che aveva accompagnato ogni singola notte da
quando suo marito se ne era andato.
Si erano
conosciuti da ragazzi, quando lei voleva diventare psicologa e lui un
documentarista...si erano lasciati da adulti, quando lei non ricordava piú come
si diventa qualcosa e lui aveva abbandonato la natura per fare carriera nelle
assicurazioni.
Si erano
amati, vissuti, consumati, fino a che del loro matrimonio era rimasto solo un
album di fotografie vicino al televisore. Amy era arrivata che giá la vita
scricchiolava come un vecchio pavimento, Hannah era rimasta incinta
probabilemente una delle ultime volte che avevano provato a fare, magari non
l'amore, ma almeno l'affetto. Il giorno che l'odore del caffé la fece correre
in bagno a vomitare fu il giorno che il test di gravidanza divenne positivo...Fu
anche il giorno che entrambi capirono che quel bambino ancora grande solo come
un pensiero non sarebbe mai servito loro da collante.
Richard
era un ottimo padre, adorava Amy e quando la stringeve tra le braccia non
c'erano né carte da firmare né avvocati, solo l'amore incondizionato che un
genitore dovrebbe essere sempre in grado di dare. Avevano provato a vivere sotto lo stesso tetto
per un po', per evitare traslochi e tristezza si erano detti, ma in breve tempo
era diventato chiaro che quella strana e innaturale situazione prolungava
solamente il dolore di avere tra le mani un cristallo rotto.
Richard
se ne era andato in via definitiva quando Amy aveva compiuto due anni, trovando
casa non troppo distante, in modo da poter essere il piú presente possibile per
quella bambina che rubava le fragole dal frigorifero e tirava la coda del gatto
quando la mamma non guardava.
Hannah passó
i cancelli della metropolitana schivando anziane signore e venditori ambulanti,
cercando sempre di tenere aperti i mille occhi che una madre sa di dovere
avere.
Le porte
si aprono, la gente si accalca, l'aria manca.
Hannah
trovó un posto per potersi sedere, appoggiando la testolina addormentata di Amy
sulla spalla. Ma come fanno i bambini ad addormentarsi ovunque? Lei nemmeno se
la ricordava l'ultima volta che aveva dormito cosí tranquilla, c'era sempre
qualche fantasma accanto al letto che la osservava sghignazzando. Negli ultimi
tempi aveva preso la pessima abitudine di portarsi Amy nel letto, per avere un
corpo amato da raggiungere con la mano e un buon profumo da trovare sui cuscini
la mattina. Inventava scuse, diceva che era la bambina a sentire la mancanza
del padre, ma in realtá era lei che aveva bisogno dei sogni al ciccolato e
marzapane della piccola Amy.
La
metropolitana correva veloce come un cavallo dall'aspetto bizzarro, tagliando
il suolo a metá, portando i newyorkesi da una parta all'altra della cittá per
poi lasciarceli fino a nuovo ordine.
Era
arrivato il momento di scendere, preparandosi per affrontare la quotidiana
battaglia di semafori rossi e marciapiedi fitti di persone.
Amy si
era svegliata, il dondolare del vagone era svanito ed ora c'era solo il caos.
"Dove andiamo mamma?"
"Andiamo
all'ufficio di papá amore"
"C'é
la giraffa oggi?"
"Non
lo so Amy, adesso quando vediamo papá glielo chiediamo"
L'ufficio
di Richard disponeva di un piccolo ma carinissimo asilo per i figli dei
dipendenti. L'ultima volta che Hannah aveva portato Amy dal padre ce l'aveva
lasciata solo il tempo di trattare di amare procedure e quando era andata per
riprenderla l'aveva trovata aggrappata ad un grande pupazzo a forma di giraffa
che aveva preso residenza nell'angolo della sala. C'erano volute due barette al
miele per convincerla a smettere di piangere quando aveva scoperto che non solo
non poteva portarsi la giraffa gigante a casa, ma che non avrebbe potuto
neanche rimanere lí a giocarci un altro po'.
Hannah
entró nell'enorme palazzo, domandandosi sempre quanto impegno ci voleva per
pulire tutto quel vetro. Il braccio doleva, Amy era piccina, ma abbastanza
pesanta da dare alla circolazione sanguigna della madre discrete noie. Lasció
Amy zampettare allegramente nell'atrio mentre aspettavano uno dei tanti
ascensori. Richard aveva sempre avuto una coraggiosa passione per le altezze,
sfidando i trampolini piú alti delle piscine e ignirando i brividi in cima alle
vette piú sperdute...ce l'aveva finalmente fatta, aveva ottenuto promozioni e
gloria, promozioni e gloria significano maestosi grattacieli e uffici con muri
di vetro per potere osservare il mondo dei comuni mortali che mangiano hot dog
e mettono su peso.
Amy
tentava invano di premere tutti i tasti dell'ascensore, suscitando sorrisi tra
tutti i presenti. Hannah era abituata a quel piccolo show, ma doveva proprio
ammetterlo, sua figlia era un amore. Indossava un vestitino blu con le calze a
strisce rosse e bianche, un piccolo gondoliere con gli occhi azzurri di magia e
curiositá.
Arrivarono
al piano. La porta si aprí. Richard si trovava proprio davanti a loro, intento
a dibattere con una collega se la tale opzione per tale cliente fosse fattibile
oppure no. Indossava un completo grigio scuro che lo rendeva ancora piú
affascinante di quanto giá non fosse la mattina con adosso solo la vestaglia e
la barba ancora da fare. Hannah si chiese ancora una volta se la decisione
presa fosse quella giusta, se davvero in quel letto non ci fosse piú spazio per
lui e se la sua vita sarebbe potuta andare avanti felicemente anche solo con
Amy addormentata al suo fianco.
"Papá!"
Amy si
gettó goffa e sorridente tra le braccia del padre, pronto ad acchiapparla come
si farebbe con un paffuto proiettile.
"Andiamo
a prendere la giraffa!"
"Ma
certo che andiamo a prendere la giraffa! Va bene alla mamma se ci
andiamo?"
Richard
pronunció quella frase guardando Hannah, sorridendo di sbieco come un sornione
attore del cinema. Hannah lo odió, e poi lo amó un po'di nuovo. Come si fa con
il caldo eccessivo le sere d'estate.
"Certo
che va bene..."
Chiesero
il permesso alla maestra di spostare la giraffa nell'ufficio di Richard, Amy
voleva la giraffa ma anche la poltrona che il padre teneva vicino al mini
frigorifero. La giraffa era piú facile da spostare.
"Ti
ho portato le carte..."
"Non
c'era tutta questa fretta, ti avevo detto che potevi fare con calma, pensavo
passassi solo per organizzare il weekend..."
"Richard
basta. Davvero. Siamo di fretta, non le voglio piú avere attorno..."
Hannah
si prese la libertá che le ex-mogli ancora esigono di avere e si versó un
caffé, abbondando in latte e zucchero. Amy parlava con al giraffa.
"Senti
per questo weekend, quando passi a prendere Amy? Tua madre mi ha chiamato, ha
detto che vorrebbe la portassimo da lei qualche giorno...se ce la porti me lo
dici prima che ti preparo la borsa con qualche cambio in piú". Quel caffé
era orrendo. O forse lo era la falsitá nell'aria.
"Si
si te lo faccio sapere...magari passo piú tardi, devo andare dal dentista
assolutamente, credo di avere un nervo a puttane e mi fa malissimo"
"Linguaggio
Richard. C'é Amy"
"Scusa"
Era una
bellissima giornata...era un peccato doverla sprecare a far finta che fosse una
bellissima giornata.
"Facciamo
cosí, tu prendi prima appuntamento dal dentista, poi mi dici quando passi a
prendere Amy"
Hannah
era spazientita, non perché Richard stesse facendo o dicendo qualcosa di
sbagliato, ma soltanto perché non aveva voglia di sentirsi in un altro modo.
"Non
voglio crearti problemi davvero, ti avevo detto sabato mattina e faró in modo
di passare sabato mattina. Oggi é l'11, se sposto di un'ora il mio appuntamento
del 13 pomeriggio dovrei fare in tempo..."
"Richard
in tutta onestá non mi interessa sapere quando vai dal dentista, ho solo
bisogno di sapere a che ora passi a prendere tua figlia e se vai al lago da tua
madre per mettere i cambi di riserva..."
"Ti
stavo venendo in contro Hannah, non ti agitare"
Hannah
batteva il piede al tempo di una musica invisibile, trattenendo le lacrime che
ormai versava senza motivo, cosí, perché essere adulti e complicati é faticoso.
E lei non poteva aggiustare tutto parlando con una giraffa di peluche.
"Hannah
dai non litighiamo, sul serio..."
Amy
ladra di fragole interruppe il silenzio che stava urlando nella testa di Hannah.
"Mamma,
l'aereo"
"No
amore stai buona, hai mangiato prima..."
"No
mamma. Arriva l'aereo"
E
l'aereo arrivó.
Su New
York e sulle fragole.
Storia triste con finale ancora piú triste. Riflessioni sul senso delle catastrofi nella vita oppure eri solo triste tu quando l'hai scritta?
RispondiEliminaEro depressa io. Nessuna riflessione. Dovevo esorcizzare demoni personali. La scrittura da questo potere immenso di trasformare in storie quello che invece é solo vero.
EliminaImmaginavo, in realtá cercavo solo conferma. Dovresti scrivere piú spesso, é bello leggerti le emozioni, anche quando sono tristi.
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